Terroir è una parola francese di uso comune la cui traduzione per noi italiani è spesso scivolosa e soggetta a fraintendimenti. Parole quali tipicità, territorialità o terreno non sono sufficienti a spiegare cosa i francesi, maestri da sempre nella comunicazione, hanno inteso per secoli parlando di terroir dei vini. In Italia, comunemente parlando, ci sono terreni dove il vino viene più o meno buono, detto questo ci fermiamo lì. Per i francesi invece si parte dando per scontato che il vino sia buono, quindi da lì si sono concentrati su come questo o quel territorio riuscisse ad esprimersi in una certa bottiglia. Il terroir è in un certo senso l’essenza totale di un territorio istillata in una bottiglia di vino.

il terroir si rivela

Vogliate perdonare questa mia digressione sulla semantica, ma l’ho ritenuta doverosa per arrivare a raccontarvi un episodio che più di mille parole può esprimere come si sia materializzato davanti a me il terroir di questa zona. Mi trovavo a Marina di Bibbona, una località della Maremma Livornese situata a pochi passi dalla strada provinciale bolgherese, un sabato mattina di un maggio tra i più freddi e squinternati credo degli ultimi 100 anni. Parcheggiata la macchina ai margini di una splendida pineta di pini marittimi, lecci e chissà quanti altri alberi meravigliosi, io e mia moglie abbiamo deciso di raggiungere il mare a piedi passeggiando ombrello alla mano. Mentre stavamo attraversando la pineta, ormai a pochi passi dalla macchia, è cominciata a scendere una pioggia pesante e fissa; preso qualche secondo per maledire un tempo così ignobile, ecco, sorprendente, la materializzazione del terroir di cui vi parlavo. L’acqua dall’alto si era mescolata con gli aromi delle giovani foglie della pineta e della macchia mediterranea rilasciando nell’aria fresca un profumo tanto vigoroso quanto autentico che mai avrei pensato fosse possibile sentire con così tanta vivacità.

Il terroir è in un certo senso l’essenza totale di un territorio istillata in una bottiglia di vino.

La storia

Questo è il terroir di Bolgheri: acqua, aria fresca, energia e tanta natura viva e pulita. Questo è esattamente quello che ho fedelmente ritrovato nel calice di parecchi vini Bolgheresi che sono riuscito a degustare.
La storia di Bolgheri è tanto recente quanto celebre ed ha inizio con Mario Incisa della Rocchetta che negli anni ’40 del secolo scorso intuisce come Cabernet Sauvignon e Franc possano esprimersi al massimo nei suoi possedimenti bolgheresi, così vicini al mare da poterne sentire il fresco profumo salmastro, ma anche così immersi nella macchia mediterranea da assorbirne tutta la forza dirompente. Nasce così il più famoso dei suoi vini, il Sassicaia, che darà il via allo sviluppo di una ristretta e ben delimitata area vinicola che nel giro di pochissimi anni sarà in grado posizionarsi con continuità nell’Olimpo dell’enologia. Tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’90 le aziende bolgheresi erano poche (si potevano infatti contare sulle dita di una mano) ma già molto apprezzate: da ricordare, oltre a Tenuta San Guido, Ornellaia, Grattamacco, Michele Satta, Tenuta Guado al Tasso e Le Macchiole.

La doc bolgheri in poche parole

La storia di queste prime e pionieristiche aziende è letteralmente la storia della DOC Bolgheri, riconosciuta solo nel 1994, che ha visto negli ultimi 20 anni sia l’incremento degli ettari vitati (da 250 a 1300) sia l’aumento del numero delle aziende produttrici, dalle pochissime storiche alle 67 attuali. Per essere precisi le DOC a Bolgheri sono due: la prima, Bolgheri DOC nelle tipologie di Bianco, Rosso e Rosso Superiore e la seconda, Bolgheri Rosso Superiore Sassicaia DOC, unico caso di doc aziendale “Monopole” riconosciuta in Italia. La doc delimita un territorio che altimetricamente va da pochi metri sul livello del mare ad ovest fino ai quasi 400 m.s.l.m. sulle colline poste ad est. La direttrice ovest-est dal mare verso le colline segna la differenziazione altimetrica e geologica dei terreni. Le origini dei terreni nonostante la ristrettezza del territorio sono sostanzialmente tre, fluviale, vulcanica e marina. Muovendoci dal mare troviamo prima terreni sabbiosi ed argillo-sabbiosi posti in un contesto mediterraneo e pianeggiante; ai primi incrementi altimetrici arrivano terreni alluvionali, caratterizzati da ciotoli tondi e depositi fluviali relativamente giovani. Infine risalendo le colline, i terreni in un contesto boschivo diventano più complessi, i depositi fluviali sono quelli più antichi e si nota la presenza di rocce vulcaniche provenienti dalle vicine colline metallifere. Mappa alla mano e prendendo come riferimento la strada provinciale bolgherese che si muove parallela al mare da nord a sud, ad ovest si intravede il mare che dista solo 5 km, mentre ad est iniziano a salire ripide le colline, distanti solo un paio di chilometri. Queste differenze geologiche, altimetriche e di vegetazione in un territorio così ristretto sono la fortuna dei produttori Bolgheresi che possono così contare su una grade varietà di espressioni territoriali.

Vitigni internazionali: dove il “terroir bolgheri” fa la differenza

Lo stile dei vini Bolgheresi basato su vitigni internazionali è dunque in totale rottura con lo stile del resto dei vini toscani basato principalmente sul Sangiovese, vitigno che non riuscirebbe ad adattarsi a questi suoli. La totale assenza di vitigni autoctoni potrebbe essere per qualcuno sinonimo di mancanza di tipicità, ma in realtà è tutto il contrario. Se per esempio prendiamo in considerazione uno qualsiasi dei tanti vini prodotti da vitigni autoctoni, la sua originalità risiederà proprio nel recupero che è stato fatto di questo o quello specifico vitigno, indipendentemente dal luogo in cui il vino stesso viene prodotto. Il fattore terroir poco o nulla potrebbe aggiungere a quel vitigno (cioè vino) che si produce solo in quel luogo: la tipicità infatti sarebbe data principalmente dal vitigno in sè, più che dal territorio in cui viene coltivato.

Lo stile Bolgherese basato su vitigni internazionali, invece, permette al pubblico (spesso anch’esso internazionale) di portarsi a casa un pezzetto di “terra di Bolgheri”, di riscoprire cioè il profumo del mare e della macchia mediterranea ogni volta che si versa un vino bolgherese nel bicchiere. Questo approccio potrebbe essere considerato molto global, ma in realtà è quanto più di locale si possa desiderare. Il pericolo per un produttore che lavora con vitigni internazionali stà nel rischio di cadere nella mediocrità. Se un vino prodotto con vitigni internazionali non riesce a trasmette al consumatore il territorio in cui viene prodotto, allora sarà solo uno dei tanti Merlot, Cabernet o Syrah che girano per il mondo. I produttori Bolgheresi sono particolarmente consapevoli di questo fatto e hanno saputo negli anni “fare sistema” in modo particolarmente efficace: sono riusciti infatti ad individuare le tecniche e le pratiche adatte per far emergere chiaramente il “terroir” Bolgherese in tutti i loro vini, non solo in quelli più prestigiosi. Questa è la chiave del grande successo di quest’area.

Conclusioni

I rossi da vitigni internazionali che ho bevuto qui sono nettamente tra i migliori che io abbia mai assaggiato e che un viaggio da queste parte è un obbligo per ogni amante del vino che si rispetti. A chi volesse pianificare un giro da quelle parti mi permetto di lasciare una mia breve lista di cantine:

A breve due articoli su due cantine che ho avuto il piacere di visitare, la leggendaria Le Macchiole e la giovane e sorprendente Villanoviana.

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